Nella sua ultima intervista, Mia Martini aveva rivelato i dettagli più profondi nei rapporti con i colleghi, come col cantore della napoletanità Roberto Murolo.
Come un vecchio adagio recita: «musica, ricchi premi e cotillon». Si rifà ad una vecchia tradizione nelle feste danzanti locali. Nella modernità, questa estetica di provincia è stata geneticamente modificata dai media di massa, come la televisione, in un qualcosa che non è quantificabile concretamente, se non per osservazione dei suoi effetti postumi. Qualcuno riduce il monto televisivo ad un enorme “circo” mediatico; ma non è così, se si vuole rispettare l’arte circense.
La televisione, come si sa, è stata una delle prime grandi opportunità di connessione tra le persone, anzi, tra popoli più o meno locali. Connessione, non comunicazione. L’informazione che in precedenza viaggiava esclusivamente sulla carta stampata, ora viene vista, approfondita; discussa, insomma.
La televisione, tuttavia, è anche molto varietà, e anche attualmente il media televisivo costituisce un dispensatore di contenuti che intervallano un torrenziale flusso di pubblicità (termine commerciale di una propaganda). Nel mezzo, appunto, tanto spettacolo, film, sport, musica.
Nei decenni della televisione italiana, più o meno gloriosi, hanno calcato le scene personaggi e volti che hanno fatto la storia del linguaggio comunicativo di massa. L’accesso nelle case degli italiani è stato altresì lo scenario, per molti artisti della voce (e non solo), di entrare nelle emozioni culturali e sensoriali, come solo la musica sa fare. Ovviamente, non tutti gli interpreti delle emozioni più profonde sono uguali. Alcuni di loro hanno rappresentato e rappresentano punte d’eccellenza, molto spesso non intuite, comprese, apprezzate dallo star system.
Il caso più emblematico di incomprensione, se non addirittura di marginalizzazione, è quello che ha riguardato Mia Martini, una delle interpreti di maggior rilievo nel panorama della canzone italiana, morta oramai quasi trent’anni fa. Un po’ tutti conoscono la sua storia: nata a Bagnara Calabra il 20 settembre 1947, la fama è arrivata negli anni Settanta, grazie alla voce e l’interpretazione profonde ed eleganti; poi è arrivata la relazione con un altro grande paroliere della musica italiana, Ivano Fossati. I più, tuttavia, ricordano il suo improvviso oblio artistico, a partire dagli anni Ottanta.
La subdola accusa di portare sfortuna (come tra l’altro ha colpito successivamente la carriera di un altro artista, Marco Masini) l’ha segnata nella carriera e nella psiche. Questa è la dura legge dello spettacolo, specie di fronte a simili sentenze lanciate da oscure personalità del sistema. La sue capacità sono state apprezzate da non molti esimi colleghi, ma di valore: tra questi, oltre i noti Renato Zero e Ivano Fossati, anche Roberto Murolo, una delle maggiori voci di Napoli, il quale l’ha voluta per interpretare un brano da lui scritto: Cu’mme.
La voce di “Piccolo uomo“, “Almeno tu nell’universo“, “E non finisce mica il cielo“, nella sua ultima intervista, ha raccontato i dettagli di un rapporto comunque burrascoso con l’artista napoletano di successo, proprio nel momento di maggiore difficoltà della cantante, alle prese con questioni economiche emerse dopo l’oscuramento della sua carriera. Ombre e stima, dunque.
Ricorda infatti: «è Murolo a non avere problemi, tanto è miliardario e non ha nessuno a cui lasciare tutta questa roba! Io ho sempre lavorato gratis per lui e adesso non ho una lira, manco i soldi per pagarmi l’affitto». Soltanto dopo la tragica morte della sorella di Loredana Bertè, lo spettacolo ha iniziato, lentamente, a rendere i meritati tributi (non sempre sinceri) ad una delle voci indimenticate di sempre.
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