L’Icon of the Seas ha tolto gli ormeggi, ma non ha placato anche le tante critiche ricevute per le sue emissioni: il dibattito non si ferma.
Quando si parla di navi da crociera, soprattutto per il suo lusso e per ciò che rappresentano, ormai non si può più fare a meno di citare l’Icon of the Seas, una mastodontica imbarcazione costruita da Royal Caribbean, un vero e proprio colosso nel suo settore.
Che fosse piuttosto ingombrante lo si capiva già dalle informazioni che la riguardano: ha una lunghezza di 365 metri, una stazza di 250mila tonnellate e una mole gigantesca solo a guardarla, che le permettono di ospitare più di ottomila persone tra passeggeri ed equipaggio. Sono numeri assurdi, esattamente come i servizi che offre: si parla di numeri come 40 bar o ristoranti, sette piscine, sei scivoli d’acqua e una cascata altissima, tanto per non farsi mancare nulla. E come si possono dimenticare anche l’anfiteatro al coperto, il parco, il cinema e chi più ne ha, più ne metta.
Sarebbe tutto bellissimo, quasi un paradiso, se non fosse che vuol dire vedere praticamente una piccola città spostarsi, con tutto ciò che comporta a livello di spesa energetica e costi ambientali. Anche se, quasi irrazionalmente, si pensa che gli aerei siano più dannosi dei mezzi di mare – quasi ad associare l’antichità al reale prezzo per il pianeta – per le navi da crociera non funziona per niente così. Con alcune di loro si arriva a consumare anche 500 chilogrammi di CO2 per passeggero per una distanza di 2 mila chilometri, come da teoria di Bryan Comer. Servirebbe un viaggio d’aereo per la stessa distanza e cinque notti in hotel per causare lo stesso danno. Proprio per questo, si sperava che per l’Icon of the Seas fosse diverso.
L’Icon of the Seas e il problema ambientale: la questione resta difficile
All’annuncio della realizzazione di una nave così importante, che è salpata lo scorso 27 gennaio, c’era stata anche una presa di posizione ben precisa sul tema ambientale. Royal Caribbean ha messo a punto tutta una serie di sistemi per far sì che consumasse il meno possibile, ma i vantaggi non sono stati così importanti, o meglio decisivi.
Ad esempio, si alimenta solo con gas naturale liquefatto (GNL), un particolare carburante che produce circa il 25% in meno della CO2. Icon of the Seas può anche riciclare le acque di scarico dopo averle purificate e riutilizzate ed è dotata di un sistema per collegarsi alla rete elettrica quando è sulla terra.
Sono soluzioni vantate anche dal New York Times in un suo articolo, ma difficili da attuare nella pratica, un po’ per impreparazione di alcuni porti, un po’ perché hanno comunque un impatto ambientale niente male. Royal Caribbean ha comunque annunciato che cercherà di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, ma al momento non è abbastanza per placare le critiche degli esperti che reputano insufficienti gli accorgimenti adottati.