Annata complessa per i partenopei che faticano a trovare continuità, Nicoletti a Napoli Cityrumors.it: “Serve focalizzarsi sul campo, senza fare paragoni”
Il Napoli, campione d’Italia in carica, fatica a fare bene quest’anno. La stagione degli azzurri infatti è decisamente altalenante: le prestazioni non convincono e i risultati non arrivano. Tre sono gli allenatori che si sono susseguiti in panchina fino a questo momento: ad inizio stagione c’era Garcia chiamato a sostituire Spalletti che dopo la vittoria del campionato ha salutato Napoli, poi Mazzarri è subentrato al francese e ora, da due gare, c’é Calzona. Per il neo tecnico, un pari col Barcellona nell’andata degli ottavi di Champions League ed un altro ieri in casa del Cagliari. Per parlare dell’annata dei partenopei è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Napoli Cityrumors.it il mental coach Stefano Nicoletti, fondatore di PlayTheNow, famoso brand internazionale del mental coaching.
Quant’è importante nello sport la figura del mental coach?
“Indubbiamente è importante però, come dico sempre io, deve restare centrale la figura dell’atleta. Il ruolo del mental coach deve essere quello di aiutare lo sportivo ad essere indipendente, responsabile ed autonomo il prima possibile; è da evitare quindi il fatto di vedere la figura del mental coach come uno ‘zainetto’ da portarsi dietro per avere più sicurezza e per chiedere cosa fare nei vari momenti. L’atleta deve stare al centro, in ogni occasione: ci si deve mettere da solo e ce lo devono mettere coloro che lavorano con lui, quindi il tecnico, il preparatore atletico e lo stesso mental coach, chiaramente“.
I grandi campioni ‘fanno fatica’ a farsi aiutare?
“Sì, può capitare che facciano fatica. Molto spesso si arriva al mental coach quando c’è stato qualche episodio che ha incrinato fortemente le certezze dello sportivo. Generalmente l’atleta non sa perché è un campione, non sa quali sono i fattori che lo hanno portato a realizzare grandi prestazioni sportive. Tuttavia, quando qualcosa incrina queste certezze, che il campione ha quindi avuto sempre in modo naturale e spontaneo, succede che può fare un passo indietro e chiedere aiuto per ritrovare sicurezza, cercando di comprendere quali sono i veri fattori che determinano le prestazioni ottimali“.
In una stagione altalenante come quella del Napoli, campione d’Italia in carica, quanto può influire l’approccio mentale dei calciatori?
“Sicuramente c’è molto di mentale in questo momento poco convincente degli azzurri, anche perché testa, fisico e tecnica sono un tutt’uno. Tutto poi è gestito dal cervello e quindi inevitabilmente l’aspetto mentale in questi casi c’entra sempre; molto spesso il problema ha a che fare con la gestione dell’attenzione. Saper dosare e indirizzare le energie è importante. Se l’attenzione è tutta sulla prestazione, l’atleta può esprimersi bene; se, al contrario, l’attenzione è, anche in parte, altrove, come per esempio sul fatto di dover ripetere i risultati raggiunti in passato, non si hanno energie necessarie per rendere al meglio“.
Il mental coach come potrebbe intervenire su questo Napoli?
“Partiamo dal presupposto che quando si raggiunge un grandissimo obiettivo, come quello dello scudetto, il calo di tensione è inevitabile. I partenopei hanno accusato questo calo nello stesso periodo in cui c’è stata la crisi tra De Laurentiis e Spalletti e quindi il momento delicato non è stato gestito, perché l’attenzione focalizzata sul cercare le soluzioni ai problemi organizzativi della società; è stato quindi spostato il focus dal campo. Garcia doveva praticamente ricominciare da zero, con tutte le difficoltò del caso; poi probabilmente né lui né Mazzarri erano le figure ottimali per gestire una situazione di questo genere, una situazione in cui una squadra era chiamata a confermare i risultati ottenuti. In questo momento è fondamentale rimettere la testa a posto, senza pensare ai traguardi gloriosi del passato e a quelli decisamente meno gloriosi del presente: l’obiettivo deve essere quello di pensare ai fondamentali, allontanando i mille pensieri negativi che si sono venuti a creare. Serve concentrarsi sulle azioni da portare in campo, perché alla fine non è quello che si pensa che fa la differenza ma ciò che si fa e se lì c’è tutta l’attenzione necessaria poi la differenza si vede“.
Da esperto del settore, consiglia la figura del mental coach a tutti gli sportivi?
“Certo, può essere molto utile se c’è un lavoro di squadra insieme a tutte le altre figure che lavorano intorno all’atleta. Il massimo sarebbero se le competenze del mental coach ci fossero all’interno della figura dell’allenatore. Gli allenatori molto spesso sono tecnici e quindi hanno una preparazione più legata alla tattica ed alla strategia e tendono a dimenticare, o comunque a semplificare, tutta la parte legata alla gestione mentale che però è fondamentale, non solo per la prestazione in se, ma anche per essere sicuri di avere una squadra e non un semplice insieme di giocatori”.
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