Il processo è scattato dopo la denuncia dei genitori di un ragazzo di tredici anni. Ecco la sentenza definitiva nei confronti del sacerdote della diocesi di Aversa
Gli avevano affidato il figlio tredicenne, puntando sulla sua esperienza, affidabilità e attenzione che sbandierava ai quattro venti, forte del ruolo ricoperto all’interno della diocesi e in numerose Onlus che dirigeva. Ma i comportamenti del giovane li avevano insospettiti e hanno portato una coppia di genitori a scoprire la verità. Il sacerdote aveva ripetutamente commesso abusi sul figlio.
La vicenda risale al 2022 ed ha portato all’arresto di Don Livio Graziano, sacerdote della diocesi di Aversa. Il prelato era stato incastrato dalla testimonianza del giovane, arrivata dopo la denuncia del padre. Il tredicenne venne ascoltato dagli inquirenti, sostenuto da psicologi e ritenuto più che attendibile. Furono numerosi i riscontri trovati, a partire dai messaggi a sfondo sessuale che il sacerdote aveva inviato sul telefono cellulare del ragazzo. Il primo processo si era chiuso il 24 novembre del 2022. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna di undici anni per il sacerdote, visti i numerosi indizi che erano stati evidenziati e portati alla luce dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Avellino.
Il Tribunale di Avellino aveva condannato Don Livio Graziano alla pena di otto anni di reclusione. Sentenza confermata anche a giugno del 2023 ed ora passata in giudicato. A rendere noti gli ultimi sviluppi è stata la “Rete l’abuso”, associazione italiana sopravvissuti agli abusi sessuali del clero. La sentenza è diventata definitiva dopo la decisione adottata dalla Corte di Cassazione. I magistrati della I Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno confermato la condanna emessa nei confronti del sacerdote in primo grado dal tribunale di Avellino ed in appello a otto anni di reclusione, rigettando per inammissibilità l’appello dei difensori.
Don Livio Graziano, direttore di una Onlus
Don Livio Graziano ricopriva anche la carica – si legge nella nota dell’associazione – di direttore di “Effata Apriti” (una Onlus che accoglie con l’aiuto dei volontari persone senza fissa dimora con grave disagio sociale o problemi di forte emarginazione) e di una serie di altre comunità psicoterapeutiche per minori. La famiglia del tredicenne, che oggi ha quindici anni, ”ha espresso gioia per questa patita sentenza che gli ha reso quella giustizia che la chiesa non ha reso”. Il tredicenne e i suoi genitori hanno deciso di costituirsi parte civile nel processo, al fine di ottenere giustizia per il crimine subito.
A rappresentarli in tribunale è stato l’avvocato Mario Caligiuri, esperto nel campo del diritto penale. D’altra parte, il sacerdote accusato del reato ha scelto di affidarsi alla difesa degli avvocati Carlo Di Casola e Giampiero De Cicco, noti per la loro esperienza nel settore giuridico. Dopo un lungo processo, la condanna definitiva è stata emessa, e Don Livio Graziano, il sacerdote colpevole del reato, dovrà scontare la sua pena in carcere. Si tratta di un esempio importante di come la giustizia possa essere raggiunta anche in casi complessi e delicati come questo, grazie al lavoro degli avvocati e alla determinazione della parte lesa nel perseguire i propri diritti.
Gli abusi continuati anche dopo i domiciliari
Don Livio, dopo essere stato messo agli arresti domiciliari per molestie, ha continuato a utilizzare Internet nonostante non gli fosse stato vietato. Questo comportamento ha portato alla continuazione delle molestie nei confronti del giovane, causando ulteriore sofferenza e angoscia per la vittima e la sua famiglia. Il padre del ragazzo, disperato e alla ricerca di giustizia, si è rivolto al presidente della rete L’Abuso per chiedere supporto e aiuto nell’affrontare la situazione. Insieme, hanno deciso di intervenire e chiedere ai superiori del sacerdote di prendere provvedimenti per porre fine alle sue azioni. La rete L’Abuso, impegnata nella lotta contro gli abusi sessuali, ha fornito supporto legale e psicologico alla famiglia del giovane e ha lavorato per garantire che il sacerdote non potesse più avere accesso a Internet o entrare in contatto con il ragazzo.