A un anno dal tragico suicidio di Gennaro Giordano, papà Armando pubblica una lettera per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cause del gesto
Gennaro Giordano si è tolto la vita un anno fa a Napoli all’età di 39 anni, dopo aver denunciato con tante lettere le discriminazioni subite sul lavoro. La Procura sta ancora indagando per istigazione al suicidio, ma la famiglia attende quelle risposte che non sono mai arrivate. Tra i misteri di quella sera, il cellulare aziendale che è stato ritrovato azzerato dei dati contenuti.
“Chiedo verità e giustizia per mio figlio”. E’ un padre disperato Armando, che non riesce a darsi pace dal quel maledetto 2 dicembre quando ha sentito quel rumore sordo che immediatamente gli ha fatto capire che era successo qualcosa di gravissimo. Sono quelle sensazioni che soltanto un genitore percepisce in anticipo, esattamente come oggi, a un anno di distanza, quelle sensazioni si sono tramutate in certezze. Suo figlio è stato spinto, metaforicamente parlando, da qualcuno a compiere quel gesto fatale.
Un gesto tragico
Secondo i genitori, Gennaro Giordano, sarebbe stato vittima di mobbing e discriminazione sul posto di lavoro a causa della sua omosessualità, come emergerebbe dalle lettere che ha lasciato prima di togliersi la vita a soli 39 anni gettandosi nel vuoto dal balcone della casa dove abitava proprio con i genitori. A un anno di distanza, sono tante le cose che non tornano in quel gesto, soprattutto perchè Gennaro ha lasciato alcune lettere dove ha provato a far capire ai suoi genitori la realtà della situazione che stava vivendo. Missive chiare, scritte di getto, piene di parole d’amore e di affetto verso genitori, parenti, amici e perfino verso i suoi due adorati cani.
Lettere che contengono però anche precise accuse nei confronti di chi lui stesso individuava come i responsabili della sua frustrazione, del suo senso di malessere che lo ha “convinto” a compiere quel gesto estremo. “Con il nuovo capo la situazione non è cambiata anzi, lui perseguita tutto ciò che non rientra nel suo bigottismo, per lui donne e omosessuali sono esseri inferiori, mi sento prigioniero in questa vita..“, parole durissime messe nero su bianco da un uomo che sapeva di vivere un momento davvero complicato della sua esistenza.
L’inchiesta comunque va avanti
Sull’accaduto sono in corso indagini da parte della Procura di Torre Annunziata, città dell’hinterland partenopeo dove Gennaro Giordano lavorava. Tante le situazioni che non tornano nel gesto del ragazzo, le lettere che ha lasciato ovviamente sono un possibile indizio e tra i dettagli ancora avvolti nel mistero c’è il cellulare aziendale di Gennaro, custodito nel suo armadietto chiuso con un lucchetto che però venne aperto. Il telefono è stato successivamente consegnato al fratello di Gennaro, ma completamente azzerato dei suoi dati.
Ecco perchè per Armando Giordano il suicidio di Gennaro non è solo un dramma personale, ma anche una questione di giustizia sociale. “Mio figlio era una persona buona, che amava la vita e gli animali. Non si meritava questo. Chiediamo che chiunque abbia avuto un ruolo nel tormentarlo paghi per ciò che ha fatto”, afferma il padre. La Procura continuerà le indagini per accertare le reali motivazioni che hanno portato l’uomo al terribile gesto.