I boss della Camorra utilizzavano la PlayStation per comunicare: il clamoroso retroscena scoperto dagli inquirenti

Ti aspetteresti che i clan camorristici si nascondano dietro telefoni criptati o codici cifrati da film. Invece no. A Napoli, nel cuore delle indagini sui clan Troncone e Frizziero, i carabinieri si sono imbattuti in un trucco che ha lasciato tutti a bocca aperta: le chat della PlayStation. Proprio così. I boss si davano appuntamento online, non nei vicoli bui, ma nelle lobby dei videogiochi, sfruttando le funzionalità multiplayer per parlare lontano da occhi (e orecchie) indiscrete.
È il 15 maggio 2020 quando le forze dell’ordine captano un’intercettazione tra Vitale Troncone e il figlio Giuseppe, entrambi già detenuti e oggi colpiti da nuove accuse. Durante una telefonata, Giuseppe racconta al padre di aver appena avuto un “incontro virtuale” con Mariano Frizziero, figura di rilievo dell’altro clan coinvolto. Il dettaglio? Si erano messi in contatto usando una chat privata all’interno di un gioco per console. E per rendere tutto ancora più criptico, Frizziero veniva chiamato in codice “zia Maria”.
Un nome in apparenza innocuo, una copertura perfetta. Nella conversazione, Vitale chiede al figlio: «Mettimi in contatto con zia Maria». Giuseppe ci prova, ma il contatto sfuma: Frizziero non è più online. Tutto questo avviene all’interno di una chat vocale o scritta su un videogioco che permette ai giocatori di comunicare durante le sessioni di gioco. Nulla di nuovo per i gamer, ma del tutto inedito per il mondo della criminalità organizzata.
Quando la console diventa strumento del crimine
Non è la prima volta che una tecnologia nata per l’intrattenimento finisce al centro di vicende giudiziarie. Ma in questo caso, la console è diventata una vera e propria piattaforma di comunicazione alternativa. L’idea era semplice: se i telefoni sono controllati e le app di messaggistica criptata rischiano di lasciare tracce, perché non usare un canale insospettabile come la chat di un videogioco?

Secondo gli investigatori, il gioco scelto — il nome non è stato reso noto — permetteva agli utenti di parlare quando facevano parte della stessa squadra. Questo sistema, pensato per coordinare strategie di gioco, è stato piegato alle esigenze della malavita. L’effetto era quello di un walkie-talkie digitale, lontano dai radar delle intercettazioni tradizionali.
Il fatto che abbiano usato pseudonimi e soprannomi — “zia Maria” per Frizziero — mostra quanto fosse accurato il tentativo di mascheramento. Ma, come spesso accade, anche i piani più ingegnosi finiscono per lasciare una scia. E questa scia ha portato a 24 misure cautelari eseguite oggi a Napoli.
La nuova frontiera della criminalità digitale?
Quello che emerge da questo caso è un inquietante cambio di paradigma. Le organizzazioni criminali non si limitano più ai metodi “classici”: si adattano, sperimentano, e sfruttano le falle di un sistema sempre più connesso. La tecnologia, se usata con furbizia, diventa un alleato prezioso anche per chi vive nell’illegalità.
Ma nonostante l’astuzia, gli investigatori hanno dimostrato di essere al passo. È bastato un dettaglio captato al volo — una parola, un nome in codice, una battuta — per aprire un varco nel muro di silenzio. E quel varco oggi ha portato a nuovi arresti, nuove accuse e forse, un piccolo passo in avanti contro la camorra.
Alla fine, resta una domanda: se oggi si usano le console, domani cosa sarà? Realtà virtuale? Intelligenza artificiale? O magari qualche altro strumento che ancora non immaginiamo? Una cosa è certa: la lotta tra legalità e criminalità si gioca anche (e sempre più spesso) su un campo digitale. E chi indaga, per restare al passo, dovrà essere pronto a premere “start”.