In certi angoli di Napoli, basta alzare lo sguardo o girare l’angolo giusto per imbattersi in una edicola abbandonata. Serrande abbassate da anni, cartelli sbiaditi, vetrine vuote.
Una volta punti di riferimento del quartiere, oggi scheletri urbani che nessuno sa più bene come trattare.
Eppure, proprio quelle strutture dismesse – spesso ignorate anche dai cittadini – sono diventate il centro di una questione che tocca da vicino il Comune di Napoli, le politiche urbane e, inevitabilmente, anche i soldi pubblici.
Parliamo di oltre 200 edicole dismesse in tutta la città. Alcune sono rimaste lì dopo la chiusura per fallimento, altre per il calo drastico delle vendite di giornali. Il punto è che non vengono rimosse, e nel frattempo occupano suolo pubblico, si deteriorano, e contribuiscono al senso di degrado.
Il Comune si è mosso, almeno sulla carta. Con un bando pubblico aperto nel 2023, ha stanziato fondi per favorire la rimozione di queste strutture inutilizzate. L’idea era anche quella di trasformarne alcune in punti informativi, chioschi culturali o piccole attività temporanee.
Ma le cose, come spesso accade, non sono andate lisce.
Tra autorizzazioni mancanti, vincoli normativi, e responsabilità poco chiare tra Comune e privati, il progetto è finito in una sorta di limbo operativo. Alcuni ex edicolanti non si fanno più sentire, altri chiedono soldi per la rimozione, e nel frattempo il degrado urbano avanza.
C’è anche il nodo dei fondi: stanziati, sì, ma solo in parte utilizzati. E quando ci sono soldi pubblici che restano fermi mentre la città si deteriora, è lecito che qualcuno storca il naso.
In alcune zone – come Vomero o Chiaia – ci sono stati tentativi interessanti: un’edicola trasformata in info point turistico, un’altra riconvertita in piccolo bookshop urbano. Sono poche, è vero, ma mostrano che una seconda vita è possibile.
Il problema è che serve una visione d’insieme, e soprattutto un piano coerente e condiviso. Senza questo, le edicole restano solo un ricordo malinconico di un tempo passato, e un ostacolo presente.
Quindi? Che facciamo con queste edicole? Vale davvero la pena lasciarle lì, come monumenti al fallimento dell’informazione su carta? O possiamo ripensarle, magari affidandole a giovani imprenditori, artisti, associazioni?
La questione è tutt’altro che banale. Parla di spazi pubblici, di memoria collettiva, di come una città gestisce ciò che non serve più. E forse anche di come si potrebbe restituire un po’ di bellezza – e di utilità – a ciò che oggi è solo ruggine e polvere.
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