Cucina italiana Patrimonio Unesco: un traguardo raggiunto grazie al ruolo decisivo della Campania, vera chiave di volta della candidatura.
Oggi, mercoledì 10 dicembre 2025, la cucina italiana è entrata ufficialmente a fare parte del Patrimonio immateriale dell’Unesco. Da nord a sud si sta gioendo per l’importante riconoscimento, il primo della storia nel suo genere.

Ma la domanda che NapoliCityrumors si è posto è: come ha contribuito la Campania all’inserimento della cucina del nostro Paese nella lista dell’Agenzia Onu? Ciò che ne è emerso è che la Campania ha rappresentato una sorta di chiave di volta. La regione ha costituito in diversi modi la base del dossier nazionale. Questo, grazie a due riconoscimenti che la Campania aveva già ottenuto negli scorsi anni. E che hanno quindi fatto da apripista.
Il primo è rappresentato dalla Dieta mediterranea, già riconosciuta Patrimonio nel 2010. Prima ancora che venisse anche solo pensata la candidatura della cucina italiana, la frazione di Pioppi del Comune salernitano di Pollica era stata identificata come capitale mondiale dello stile di vita della Dieta mediterranea a tavola. È a Pioppi che visse Ancel Keys, lo scienziato statunitense che teorizzò la Dieta, donandogli credibilità scientifica e rispetto per la terra e per la salute. Cultura, oltre che cibo.
L’Unesco ha valutato positivamente la cucina povera campana
Il secondo pilastro ha riguardato l’Arte del pizzaiuolo, riconosciuta nel 2017. In quel caso l’Unesco non ha premiato la pizza in sé come oggetto, ma in quanto risultato di una serie di gesti tramandati. Dallo schiaffo alla pasta al controllo del forno fino alla manipolazione del cornicione. Oltre ai riconoscimenti già ottenuti, la Campania ha portato in dote una incredibile biodiversità. Nel dossier che ha portato la cucina del nostro Paese all’inserimento nella lista Unesco è ben citata la diversità di chilometro in chilometro.
La Campania è l’esempio perfetto di tutto questo, grazie a quattro prodotti in particolare. Il primo è il Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop. Simbolo della conservazione domestica, ovvero la passata fatta in casa, ha rappresentato un rito sociale fondamentale per il dossier. Gragnano è invece il luogo dove un’intera città vive in simbiosi con la sua pasta, derivata da un microclima perfetto per l’essiccazione.

Discendente diretta del Garum dell’Antica Roma, invece, è la Colatura delle Alici di Cetara Dop. Da qui, la continuità storica millenaria della cucina italiana. Infine, la Mozzarella di Bufala Campana Dop. Tra Aversa, Battipaglia e Capaccio Paestum si sono trasformati territori paludosi e difficili per l’allevamento in un’eccellenza mondiale. Ma non basta.
L’Unesco ha valutato positivamente la cucina povera della Campania, dalla frittata di maccheroni al pane raffermo per le polpette o le bruschette. Che significano riutilizzo, zero sprechi, tradizione. Infine, i luoghi. A Portici, nella Reggia, ha sede uno dei centri di ricerca più importanti per la genetica arborea del Mediterraneo: il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli. Secoli prima dell’Unità d’Italia, Vincenzo Corrado con il suo Il cuoco galante e Ippolito Cavalcanti con la Cucina teorico-pratica, hanno codificato la cucina italiana. Primi esempi di letteratura gastronomica italiana scritti proprio qui. A Napoli.





