Curarsi è un vero e proprio lusso per moltissimi cittadini italiani di tutte le fasce d’età. Ma a pagare il prezzo maggiore sono proprio i pensionati, con una conseguente aspettativa di vita minore per loro.
Il tema è stato affrontato nell’ambito del Congresso nazionale della Società italiana di Gerontologia (SIGG) dal titolo Liberi e Longevi, che si è svolto a Napoli fino a sabato 20 dicembre, nel quartiere di Scampia, luogo simbolo delle difficoltà socioeconomiche e di emarginazione, ma anche di riscatto sociale e resilienza, dov’è nata anche il polo universitario della Federico II.

Ad evidenziare un peggioramento dell’aspettativa di vita degli anziani meno abbienti è stata un’analisi recente del National Counsil on Aging (NCOA) degli Stati Uniti e del LeadingAge LTSS Center dell’Università del Massachusetts a Boston. Secondo gli esperti, gli over 60 con redditi inferiori a 20mila dollari annui muoiono nove anni prima di chi ha uno status economico di 120mila dollari o più.
Questo risultato dimostra come la longevità non è legata soltanto alla genetica e al controllo dei fattori di rischio, ma anche al sistema sociale che non sempre riesce a garantire l’equità e non è accessibile a tutti.
Cos’hanno scoperto gli esperti americani
“Secondo l’analisi condotta negli Stati Uniti, gli anziani che appartengono al 20% più povero della popolazione, con un reddito medio inferiore a 20mila dollari all’anno, muoiono con una frequenza quasi doppia rispetto ai loro coetanei con un reddito annuo pari o superiore ai 120mila dollari”. A sottolinearlo è stato Dario Leosco, presidente SIGG e professore ordinario di Geriatria all’Università di Napoli Federico II.
Lo studio americano è stato effettuato tra il 2018 e il 2022 e in questo periodo il tasso di mortalità negli anziani poveri ha raggiunto il 21% a fronte del 10,7% degli over 60 benestanti. Una differenza di quasi dieci punti percentuali “che traduce in termini concreti l’impatto della povertà sulla vita: in media, gli anziani con meno risorse muoiono circa nove anni prima di quelli più abbienti”.

Ma, come detto, non si tratta solo di “mezzi”: lo svantaggio socioeconomico espresso in termini di reddito, istruzione, casa, provoca anche una condizione di stress cronico che, come ha spiegato Leosco, “può portare a un’infiammazione sistemica di tutti i tessuti. Questa rappresenta terreno fertile per il prosperare di malattie neurodegenerative, cardiovascolari e oncologiche, a cui si aggiunge l’effetto antagonista nei confronti del sistema immunitario, con la conseguente perdita progressiva delle capacità dell’organismo di difendersi dagli agenti esterni”.
L’Italia è ancora uno dei Paesi più longevi al mondo, ma i dati Usa sono ugualmente preoccupanti anche in virtù della progressiva privatizzazione della sanità. “L’universalismo del nostro Sistema Sanitario, unito alla prevenzione e alla medicina di base, ha contribuito fino ad oggi in modo significativo alla riduzione della mortalità e all’allungamento dell’aspettativa di vita, ma una Sanità pubblica sempre più ‘ristretta’, a fronte di una privatizzazione che avanza, rischia di creare barriere economiche che minano l’aspettativa di vita”, ha detto Leosco.
“Le politiche pubbliche, in particolare quelle economiche e sociali, rappresentano quindi un potente strumento per orientare gli esiti di salute collettivi e garantire un invecchiamento sano. Di conseguenza, ogni decisione politica è anche una decisione sanitaria. Costruire una società più giusta è pertanto la più efficace politica di salute pubblica”.




