“Essere nonna significa tramandare, non solo affetti ma anche gesti antichi, ricette che raccontano chi siamo”.
Così Annamaria Chirico, proprietaria dell’azienda di grano cotto più nota d’Italia, commenta l’iscrizione della cucina italiana nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco del 10 dicembre scorso.

Annamaria Chirico è anche nonna, custode di una delle ricette di famiglia più importanti della tradizione campana. “Ogni volta che preparo la pastiera per i miei nipoti, sento di trasmettere un’eredità che va oltre il dolce in sé. È un pezzo della nostra storia familiare e del nostro territorio”.
È trascorsa una settimana dal riconoscimento, che è avvenuto nel corso della sessione del Comitato Intergovernativo a Nuova Delhi. Gli esperti hanno riconosciuto la cucina italiana come rituale sociale e pratiche che promuovono il benessere, la sostenibilità, la biodiversità. Insomma: un modello culturale unico che si tramanda di generazione in generazione.
Perché a Nuova Delhi la cucina italiana è diventata patrimonio immateriale Unesco
La notizia però, ha scatenato prima la polemica del critico del Times Giles Coren, che ha definito il riconoscimento come una “truffa”. Il giornalista ha descritto il mito della cucina italiana come un’invenzione della “borghesia anglosassone snob”, e definito la decisione degli esperti a Nuova Delhi come “prevedibile, servile e irritante”.
Il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio Unesco ha acceso anche il dibattito politico in Italia. Il Pd lo ha definito come una “responsabilità”, ma allo stesso tempo ha accusato il governo di propaganda sulla sovranità alimentare. Non si è fatta attendere la risposta della premier Giorgia Meloni, che durante Atreju, l’evento annuale di Fratelli d’Italia, ha ironizzato sulle reazioni delle opposizioni, che per protesta avrebbero mangiato “kebab per una settimana”.

Per Annamaria Chirico la notizia della cucina italiana patrimonio Unesco è un’emozione. “Non è soltanto un titolo formale, ma il tentativo di preservare un patrimonio immateriale, il valore culturale di ciò che, da sempre, custodiamo con amore”.
E proprio in questo contesto che la pastiera, emblema della cucina napoletana e della ritualità familiare, diventa uno dei simboli più rappresentativi del patrimonio domestico italiano. Un dolce che non esisterebbe senza la trasmissione meticolosa di segreti, tempi e gesti.




