C’è chi si finge tecnico del gas, chi parente in difficoltà, chi operatore di banca. Ma poi ci sono loro, quelli che arrivano vestiti bene, magari con una finta paletta in mano, e dicono: “Siamo dei Carabinieri, dobbiamo fare un controllo.”
A sentirli così, anche una persona sveglia può cascarci.
È quello che è successo a Caltagirone, dove due uomini hanno provato a mettere a segno l’ennesima truffa ai danni di un’anziana, spacciandosi per militari dell’Arma. Ma questa volta non è andata come pensavano. Anzi, il colpo si è fermato di colpo. E la trappola si è chiusa su di loro.
Secondo le prime ricostruzioni, i due truffatori avevano fatto tutto “di scuola”. Telefonata alla vittima, voce impostata, tono deciso: “Signora, sua nipote ha avuto un incidente, servono subito dei soldi per liberarla.” E giù panico, ansia, paura.
Un classico. Ma stavolta, la donna – anziana, sì, ma tutt’altro che sprovveduta – ha fatto la cosa giusta. Ha chiamato i veri Carabinieri, quelli veri, quelli veri davvero. E quando i finti militari si sono presentati alla porta per “ritirare il denaro”, ad accoglierli c’era un’accoglienza un po’ diversa da quella che si aspettavano: c’erano le forze dell’ordine, quelle vere.
Usare il nome dei Carabinieri per truffare non è una novità, purtroppo. È una tecnica subdola, ma efficace. Soprattutto con le persone più fragili, che spesso si fidano di tutto ciò che ha a che fare con divise, istituzioni e senso del dovere.
I dati parlano chiaro: negli ultimi anni, le truffe agli anziani sono aumentate, diventando quasi una piaga sociale. I metodi si evolvono, i truffatori imparano a essere più convincenti, più rapidi, più freddi. E ogni volta colpisce pensare quanto sia facile far leva sulla paura di chi, magari, è solo in casa, ha poca confidenza con la tecnologia, e si fida troppo di una voce al telefono.
Il lato positivo? Episodi come questo dimostrano che qualcosa si muove. Che l’informazione funziona, e che sempre più persone – anche le più vulnerabili – cominciano a riconoscere i segnali, a non cadere nel panico, a fare la cosa giusta al momento giusto.
E forse è proprio qui che si gioca la vera partita. Non solo nella repressione – che è fondamentale – ma nella prevenzione, nella consapevolezza, nella rete di attenzione che famiglie, vicini, operatori sociali e forze dell’ordine stanno cercando di costruire.
Ma quanto ancora dobbiamo aspettare prima che certi raggiri smettano di essere “quasi normali”? Fino a che punto siamo disposti ad accettare che chiunque possa usare una divisa, anche solo a parole, per manipolare e rubare?
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